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16/07/12

Diario dei Mostrincubi - Il Ripedecirchiolaccio


Le pareti a picco sul mare sembrano fatte di ossidiana color cenere e tagliano il vento mentre gli spigoli di roccia risplendono alla luce del tramonto. La scogliera promette che ti farà male.
E lo fa.
Oh, se lo fa.
Di solito cerco di starci lontana. Ma agli incubi piacciono le lame di roccia, fanno il nido e si nascondono tra le fratture della pietra. Nelle sere d'estate le pareti verticali brulicano di brutti pensieri. Sono talmente tanti da scacciare persino i gabbiani che infuriati volano in circolo.
Non mi avvicino alla scogliera se non c'è un motivo valido.
E anche quando c'è, ci penso sempre due volte.


E ci penso anche mentre cerco appigli e mi arrampico su una parete a strapiombo tentando di raggiungere un nido di ripedecirchiolacci. Un nome stupido per degli incubi ancora più stupidi. Sono tutti aculei ma non particolarmente aggressivi. Di solito, se ne stanno rintanati aspettando che qualcuno gli passi talmente vicino da potergli rubare un pensiero. Quando apri l'armadio e non ti ricordi perché ti eri alzato dal divano? Un ripedecirchiolaccio ti ha sfiorato. Sono i principali responsabili dei mazzi di chiavi smarriti in giro per il mondo ma a parte questo non sono poi così pericolosi. Se non fosse che durante l'estate sviluppano una fame bestiale. Si radunano in branchi, delle macchie scure piene di aculei che si aggrappano a posti ripidi come la scogliera. E se qualcuno ci passa vicino, non si accontentano di rubargli qualche pensiero. A volte, prosciugano la loro preda fino a farle perdere il ricordo di chi era o di cosa stava facendo. Oppure, quando sono in tanti, ma davvero tanti, afferrano chi ha la sfortuna di passargli vicino e lo trascinano lassù, sulle lame di roccia. Le cadute accidentali, le disgrazie, le persone sparite dopo una gita... ripedecirchiolacci.


Scivolo con il piede destro e resto aggrappata alla scogliera solo con le mani. L'arpione infilato sotto la maglietta mi sbilancia ma non ho trovato una soluzione migliore. Stavo camminando per tornare a casa quando ho visto qualcosa che si agitava, come uno straccio impigliato tra le rocce. La cosa strana è che si muoveva in verticale. Saliva lento ma costante lungo la scogliera. Sono rimasta lì, a cercare di capire cosa fosse.
Una busta di plastica? Troppo grande.
Un lenzuolo steso ad asciugare e strappato e portato lassù dal vento?
L'incerata che copriva una barca?
Poi ho visto le gambe nude e piene di tagli che sbattevano contro le rocce e ho realizzato. I mostri tutti aculei avevano rapito qualcuno e lo stavano portando al loro nido. Sono scattata correndo come il vento sulla stradina di ciottoli. Per rapire una persona dovevano essere tantissimi. Non riuscivo a scorgerli da così lontano ma sapevo che una volta rubati tutti i pensieri del poveraccio, l'avrebbero lasciato andare e non ci sarebbe stato nient'altro che rocce aguzze e budella sparse sugli scogli.


La roccia si sbriciola sotto al mio peso ma continuo a salire. Vedo la macchia degli incubi. È larga quasi tre metri e la loro preda è avvolta in un incerata. Un pescatore? Le gambe che brillano bianche sotto la luce del sol sono però quelle di una ragazza. Forse di una bambina. Ecco perché sono riusciti a sollevarla...
Cerco un appiglio più stabile, incastro il piede in una fessura e afferro con forza una sporgenza con la mano sinistra. Con la destra libero l'arpione. Una raffica di vento mi sbilancia e rischia di strapparmelo di mano. La punta sbatte con forza contro la roccia e un pezzo di scogliera precipita giù . La macchia, più in alto rispetto alla mia posizione, si agita e freme tutta. Gli incubi sanno che sto arrivando. Si ritraggono, come formiche impazzite. Non dovevano accorgersi di me. Se si sentono minacciati si sparpagliano e...


La lasciano andare.


La figura di una bambina avvolta in un k-way mi sfreccia affianco. D'istinto lascio andare l'arpione e allungo la mano. L'incerata è scivolosa sotto le mie dita. Il peso della ragazzina quasi mi strappa dalla scogliera. L'arpione precipita e rimbalza sulle rocce, risuonando come un gong. La spalla urla di dolore. Stringo i denti, la mano che mi regge alla scogliera sanguina. Sento che la bambina si agita. L'ho presa.
La tiro su.
Lo sforzo mi costa la spalla. La bambina si sveglia. È ancora intontita ma si aggrappa a me con tutte le sue forze.
"Non guardare giù" dico. Sento che le piccole braccia stringono più forte. Ho di nuovo le mani libere. Devo riuscire a scendere adesso. Ho una spalla fuori uso, ogni volta che cambio appiglio ringhio di dolore tra i denti.


A metà discesa, sto per cedere. Tremo per lo sforzo cercando di restare aggrappata. La piccola se ne accorge.
Mi da un bacio sulla guancia.
Le sorrido. È una bambina coraggiosa.
Scendiamo, insieme.
Lentamente.


Arrivo sulla strada. La poso a terra e finalmente crollo. La piccola si siede affianco a me, le accarezzo la testa e la bimba si addormenta di colpo. Si sveglierà tra qualche ora senza ricordare nulla della nostra avventura per un effetto collaterale degli aculei di quei mostri. Probabilmente, verrà sgridata dalla madre perché si è fermata fuori a giocare fino a tardi.
Sorrido e mi rimetto in piedi a fatica. Recupero l'arpione e lo uso come bastone mentre torno a casa a bendarmi la spalla. Mi giro un'ultima volta. La piccola mormora qualcosa nel sonno. Sembra un "grazie".
Ma non sono sicura.

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