Blog di Giovanni

Blog di Federico

21/12/12

Fini del mondo e non solo



Addirittura due nuove cover variant?!

Eggià, pensavate che fossimo spariti all'altezza del Burger King dalle parti di Firenze di ritorno da Lucca?
E invece no, stavamo solo cercando di sbrogliare le sartie, come direbbe Rebecca.
Ma andiamo per ordine.

Per prima cosa un GRAZIE GIGANTESCO a tutti quelli che sono passati in fiera, ci hanno intervistato, hanno preso la loro variant, ci hanno scritto dopo la fiera, hanno letto il volume, l'hanno regalato per natale... insomma, non sapremo mai come sdebitarci per tutto l'affetto che ci avete dimostrato in questi mesi.

E ora arriviamo alla domanda che nascondevate dietro tutto quell'affetto... Harpun, continua?

E la risposta è... no. O meglio, sì. Ma non su questo blog e non in questa forma. E qui ci tocca aprire una piccola parentesi. Come molti tra quelli che ci seguono dalla prima ora sapranno, Harpun era nato come progetto sperimentale, e come tale l'abbiamo sempre affrontato. Proseguire come abbiamo fatto fin'ora, però, vorrebbe venir meno alla nostra tradizione di provare a fare sempre qualcosa di più. Per questo motivo, Harpun non proseguirà a fumetti e cercherà di diventare una cosa più "animata". O addirittura una "messa in scena". 

Quando? Come? Chi? Perché? Ecco, non lo sappiamo neanche noi. Stiamo provando, sperimentando e vedendo effettivamente se la cosa è fattibile. E se lo è, sarete i primi a saperlo! Promesso!

Ma quindi ciao, chiudiamo qua questo spazio e ci vediamo tra un paio d'anni quando tutto sarà stato definito?
Ma neanche per sogno. La presenza in rete e il contatto con voi è una cosa a cui non vogliamo rinunciare per nessun motivo. 
Per questo, abbiamo aggiornato il blog mettendo in evidenza i feed ai nostri blog personali e i nostri reciproci account twitter (ma ci trovate anche su Facebook e su Google + con i nostri account personali e con le pagine dedicate ad Harpun). In poche parole, trasformiamo questo spazio in un bollettino sia su Harpun che sui prossimi progetti.

Tranquilli, niente spam feroce. Segnaleremo solo le nuove uscite dei nostri lavori. Perché sì, qualcos'altro fatto da noi due uscirà.
Ma, ovviamente, sarà una cosa completamente diversa.
Per ogni informazione, tenete d'occhio questo blog e/o quello di Giovanni verso la fine di gennaio - inizi di febbraio che ci sarà da leggere.

Detto questo, vi salutiamo all'anno prossimo e che la caccia ai mostrincubi vi sia sempre fruttuosa!

Giovanni & Federico


30/10/12

Rassegna stampa


Post veloce per segnalarvi due recensioni e un'intervista.

La prima rece in assoluto su ItalNews che trovate clickando QUA.

La seconda sul portale di Comicus la trovate invece QUA.

Sempre Comicus fa una lunga intervista a Giovanni e Federico, se volete leggerla è QUA.

Grazie davvero a Renato e Francesco per il tempo e le belle parole!

29/10/12

Lucca - ovvero quando trovarci!


A Lucca ci troverete al padiglione Napoleone, stand E120 (quindi in piazza, tipo dando le spalle alle mura sul lato destro) in questi giorni e con questi orari (e pure con i compagni di stand va!):


GIOVEDI’ 1 NOVEMBRE
Ore 14-17
- Giacomo Bevilacqua
- Simone Guglielmini
- Giovanni Masi
- Federico Rossi Edrighi

VENERDI’ 2 NOVEMBRE
Ore 10-12.30

- Giacomo Bevilacqua
- Simone Guglielmini
- Giovanni Masi
- Federico Rossi Edrighi


SABATO 3 NOVEMBRE
Ore 14-17
- Giacomo Bevilacqua
- Giovanni Masi
- Federico Rossi Edrighi
- Yoshiko Watanabe


DOMENICA 4 NOVEMBRE
Ore 10-12.30
- Giacomo Bevilacqua
- Giovanni Masi
- Federico Rossi Edrighi
- Yoshiko Watanabe

Come per Romics, ci sarà la versione regular e la versione variant di Harpun e ci saremo noi che vi autograferemo entrambe le versioni (ma inutile dire che la variant è tutta un'altra storia).
Ah, se poi vi va, Venerdì 2 novembre 2012, ore 14, Sala Incontri P. Ducale, ci sarà la presentazione del volume e magari un po' più di calma per farci due chiacchiere.

Vi aspettiamo!

02/10/12

Romics - parte 1

Eccoci! Ieri non ce l'abbiamo fatta ad aggiornare che eravamo ancora frastornati per colpa di Romics.

In generale, è andata bene. Senza entrare nei dettagli tecnici, l'edizione approntata da GP è semplicemente CLAMOROSA.

Federico ha fatto dei disegni eccezionali sulle variant, anche se qualcuno ce lo siamo perso e se ci fate una foto alla cover e ce la spedite ci fate un favore, così la mettiamo qua sul blog. Intanto, oggi vi beccate la prima infornata.

Un grazie grande come una casa a Francesco, Luca e Marco per l'ospitalità allo stand. Ci hanno permesso di fare un casino assurdo e ancora non so perché non ci hanno buttati fuori. Cercheremo in tutti i modi di farci cacciare a Lucca.

Un abbraccio anche ai nostri vicini di stand, Giacomo, Sabina e Sonia, oltre che la mitica Yoshiko Watanabe. Insomma. se non passate a Lucca a trovarci... sciagura a voi!


Giacomo A Panda Piace ci saluta.


Federico all'opera (ma quando sono fichi i maxi-poster?!?)


La prima variant in assoluto mai fatta (ovvero Federico prova i pennarelli).


Massimo si porta a casa questa su suo soggetto e sceneggiatura (ah, sì. Si accettano suggerimenti per la cover).


Giacomo intanto disegna il seguito di Harpun.


E in coppia con Federico disegna la prima Cross-Variant!

Ci vediamo lunedì prossimo per le altre cover/foto!


27/09/12

Harpun - I PUPAZZI!!!!

Perché due amici fanno un fumetto. E lo mettono sul web. E la gente magari gli fa pure i complimenti che gli fanno piacere e magari lo pubblicano pure di carta.

E poi un giorno entrano in ufficio e Sabrina Ariganello, la donna inconoscibile su internet che non ha un sito web ma che dopo questa cosa sarà la donna più famosa tra i lettori di Harpun, ecco lei, proprio lei si presenta con questo.


E ai due autori gli viene un infarto. Secco.


E lei se la ride tranquilla, dopo questo capolavoro.


in cui ha curato ogni minimo dettaglio.


E ha regalato ai due autori una tra le gioie più intense di questo lavoro.


Sabrina, grazie davvero. Non sai quanto ci hai resi felici.

PS: Se qualcuno fosse interessato a capolavori come questi, fatecelo sapere che vi mettiamo in contatto con l'autrice! ;)

SPAM (e sette)

Spam con mostri. Tanti mostri.


Vi ricordiamo che ci troverete a Romics da domani fino a domenica allo stand GP Publishing dalle 14 alle 17 per firme, chiacchiere e quant'altro, e poi sabato dalle 13:30 alle 14:30 nella sala A del padiglione 11 per la conferenza di presentazione del volume.

Vi aspettiamo!


24/09/12

SPAM (e due e tre e quattro)

Ma non doveva essere una vignetta al giorno?

Sì, doveva. Prima che decidessimo di risistemare il PC e ci perdessimo nel gorgo nero dell'installazione di Skyrim (e delle prove e dei bug e del "oh! Una quest nuova, ma pensa!")

Quindi, oggi recuperiamo con ben tre vignette tre.

Spam con denti e poliziotto.


Spam con poliziotto volante.


Spam arrabbiato.


Ah, cosa importantissima! Sabato 29 settembre, dalle 13:30 alle 14:30 nella sala A del padiglione 11, ci sarà la conferenza di presentazione di Harpun. Una roba che nel programma ufficiale la presentano così: "Questioni di stile. GP Publishing presenta i suoi nuovi graphic novel: Donran di Yoshiko Watanabe e Giovanni Masi, e Harpun di Giovanni Masi e Federico Rossi Edrighi.
Conduce Luca Baboni, Coordinatore editoriale di GP Publishing."

Quindi con molto stile ci saremo tutti. Ed è pure ora di pranzo, quindi saremo puntualissimi che poi sale la fame. Voi potete venire con i panini e mangiare seduti comodi mentre vi raccontiamo un po' di retroscena su Harpun e Donran.
Non avete nessuna scusa per mancare.


21/09/12

SPAM (e uno...)


Mancano sei giorni all'uscita del libro a Romics. E quindi facciamo un po' di spam, che è cosa buona e giusta. Una vignetta al giorno fino a venerdì.

E voi vi chiederete: "Perché venerdì che Romics inizia giovedì?". Perché il volume di Harpun sarà presente in fiera ma noi non ci saremo (mannaggiattuttigliincubiincolonna...).

Però, ci saremo da venerdì a domenica, dalle 14 alle 17, allo stand GP Publishing.

Quindi, non fate che passate tutti giovedì, ok?


17/09/12

Anteprima e Cover

E come promesso, eccovi un'anteprima del libro.

Per prima cosa le cover (perché fermarsi a una sola copertina se ne puoi avere due?!)

Quindi, edizione "Regular":
prezzo 15 € per 112 pagine con le 52 tavole che avete già letto (se non l'avete fatto, sciagura a voi! E recuperate subito qua in alto a destra le trovate raccolte in tre pratici capitoli);
+ il diario dei mostrincubi (anche questo lo trovate qua a destra);
+ 54 altre tavole di fumetto COMPLETAMENTE INEDITE.
Il tutto rilegato in questa cover qua sotto (era talmente bello anche il retro che ve la facciamo vedere tutta.  Clickate per ingrandirla).


Poi, edizione "Variant". Stesso contenuto della prima e questa cover qua sotto.


E sì, si tratta di un foglio bianco (anche se il logo sarà lucido) perché dell'edizione Variant esisteranno solo 100 copie, firmate e numerate. Non si potranno acquistare in libreria ma solo in fiera e negli eventi in cui saranno presenti Giovanni e Federico in carne e ossa. A parte il fatto che vi volgiamo conoscere dal vivo, il foglio bianco della Variant servirà a Federico che vi realizzerà la cover personalizzata direttamente sul volume.
Quindi, 100 copie firmate e numerate, ma solo se ci passate a trovare e così vi beccate la copertina disegnata a mano. Il prezzo della Variant? 30 €.
Tutto chiaro?

Ci troverete per prima cosa a Romics, allo stand GP Publishing, dal 27 al 30 settembre. Se siete lettori del blog fatevi riconoscere!

Ah già. L'anteprima! Qua sotto, tavola 53 e 54 con il prosieguo delle avventure di Rebecca e Joshua.
Poi non venite a dirci che non vi viziamo...



10/09/12

Diario dei Mostrincubi - la raccolta


Ed eccoci qua con l'ultima raccolta free di Harpun prima dell'uscita del libro tra una ventina di giorni a Romics.

Il Diario dei Mostrincubi questa volta ve lo potete scaricare in:

- PDF

- ePub (eBook readers)

- iBooks (iPad & iPhone)

- Kindle (per ora gratis da QUI il file .mobi, altrimenti da Amazon a pagamento da QUI, ma stiamo lavorando per metterlo gratuito)

Scaricate e fatelo girare, che salire in classifica negli store è un bel po' di pubblicità per noi.

Ci vediamo lunedì prossimo con una bella anteprima del libro!



03/09/12

Diario dei Mostrincubi - Il Nenosazme, seconda parte


Il nenosazme è un incubo fuori dal comune. È difficile pure da spiegare. È più in alto degli altri nella catena alimentare. È il frutto di pensieri ricorrenti, di ansie portate nell'anima, di rabbie represse, di frustrazioni sputate addosso all'altro a mezza bocca. È l'incubo che nasce quando dici sempre no, quando sei molesto per te e per gli altri, quando l'unico tuo modo di rapportarti con gli altri è l'aggressività. Quando hai fallito, quando hai sprecato il tuo talento. Quando sei ridicolo nel tuo battere i piedi. Quando sbagli e vuoi spiegarti e non ti viene data la possibilità e ti accorgi di quanto vali per gli altri. Quando improvvisamente realizzi di essere solo una persona e non ti va bene e distruggi tutto sistematicamente perché dentro non sei sicuro del tuo valore. Il nenosazme è questo ed è anche peggio.


Non è come gli altri incubi. È il frutto di molte miserie, di molte tristezze. È un incubo aggressivo e molesto. Ed è un predatore. Può roderti l'anima fino a lasciarti l'ombra della persona che eri. Può scatenare attacchi di rabbia, può portarti a disprezzare tutto e tutti perché li invidi e può farti venir solo voglia di gonfiarli di botte.


È pericoloso da avere intorno, infido da cacciare e può farmi molto male. E questo è l'esemplare più grande che mi sia mai capitato di affrontare. Ha fatto danni per tutta l'estate facendo diventare più aggressivi gli altri incubi della scogliera. Non sapevo cosa avessi di fronte finché non l'ho guardato negli occhi attraverso i vetri sporchi di una cucina. Liberarmi dal suo sguardo mi è costato tre punti di sutura sulla mano. Non farò lo stesso errore due volte. Ho provato a stanarlo ma senza successo. Lui ha cercato un momento propizio, una mia distrazione per assalirmi. Siamo rimasti in stallo troppo a lungo.
Stasera lo sto sfidando apertamente.


Cammino da sola per i vicoli del villaggio addormentato. Faccio risuonare l'arpione sul selciato. Canticchio una ninna-nanna a labbra strette. Lo percepisco alle mie spalle. Mi volto. Non c'è. Ma vedo qualcosa con la coda dell'occhio. Un'ombra troppo rapida. Un movimento. Una presenza.
"E andiamo! Hai forse paura?!" urlo allargando le braccia.
Un ringhio. Dietro di me. In alto.


Scatto
e
mi giro
su me stessa.


La punta dell'arpione ferisce su un fianco l'incubo che ha cercato di colpirmi alle spalle.


Rotoliamo via. Il bastardo ci ha provato. È grosso. Uno dei tentacoli uncinati mi ha ferito ad una gamba. Ci muoviamo in circolo, pronti a staccarci la testa a vicenda. Non gli do il tempo di reagire e affondo il colpo. È la cosa più rapida che abbia mai affrontato. Lo manco. Mi si lancia contro, lo schivo ma mi ferisce al braccio. Ci osserviamo. A distanza. Il nostro sguardo si incrocia.


Una porta si apre. Una bambina esce, in pigiama. Mi ha sentito gridare? Ho gridato? Maledetti occhi rossi. Mi confondono la testa. Ci sta riuscendo di nuovo.
Non ho tempo di pensare. L'incubo si scaglia sulla piccola. È Sarah? La conosco? È la piccola della scogliera?
L'incubo la sta per azzannare. Il sangue mi scorre sulla gamba. Mi lancio a proteggere la bambina, voglio spingerla dentro casa.


Sbatto contro la porta.


La bambina
non
c'è
mi ha
fregato!


Non ho tempo di fare nient'altro così stringo l'arpione al petto e mi getto all'indietro.


Mi tuffo contro le sue zanne, sperando che il mio arpione lo uccida prima che possa serrare le fauci. Un vortice di uncini mi strappa la maglietta e mi scava la pelle del viso, delle spalle, delle braccia.
Un'esplosione di mucillagine mi toglie il respiro.
L'arpione affonda e squarcia.
L'ho fregato!
Atterro con la schiena sul selciato. La botta mi fa girare la testa e il sangue negli occhi mi appanna la vista.


È finita.
L'incubo si dissolve.
Ho rischiato e ho vinto.
Ma la puntata era alta e mi è costata.


Respiro?
Sì.
Sanguino?
Sì.
Il cuore batte?
Sì.
Bene, provo a rimettermi in piedi e ad aprire gli occhi.
Mi pulisco il sangue dagli occhi che bruciano e mi guardo intorno.


E vedo la vecchia.


È in vestaglia, con una scopa in mano e con gli occhi fuori dalle orbite. Di tutte le porte del villaggio proprio contro la sua dovevo sbattere?! Ci mette un attimo a riprendersi, in fondo le sto solo sanguinando sull'uscio, ma mi da il tempo di rialzarmi e di non farmi prendere a scopate in testa. La saluto con un cenno. Sento che prova a imprecare ma è troppo furibonda e probabilmente sta provando a uccidermi a forza di sputacci.


Vado a casa. Spero davvero che i prossimi mesi siano più tranquilli. Dopo un'estate così me lo merito. Sorrido tra me e me e guardo verso il villaggio. Piccolo, racchiuso tra terra e mare. In pace.


Vado a letto contenta.In fondo, cos'altro potrebbe succedere?
Un terremoto?
Un vulcano?
Uno straniero che vuole costruisce un hotel cinque stelle in cima alla scogliera?!


27/08/12

Diario dei Mostrincubi - Il Nenosazme, prima parte


Sono seduta affianco a uno dei due ruscelli che scendono dalla scogliera. Hanno vita breve, finiscono subito in mare ma mi piace il rumore che fanno scorrendo sull'acciottolio di piccole pietre levigate. Penso di essere l'unica a cui piace questo posto. Adoro il rumore dell'acqua che scorre. Mi rilassa prima di una battuta di caccia. La ferita sulla mano è quasi guarita e posso stringere e scagliare l'arpione con forza. So che ormai ci siamo. L'autunno è alle porte e il mio nuovo "amico" non aspetterà ancora. Mi segue da settimane, furtivo, minaccioso, pieno di rancore. Sta per colpire e lo farà appena gli si presenterà l'occasione. E stanotte sarà la notte ideale per far scattare la trappola.

Ho provato ad avvicinarlo più volte ma non sono mai riuscita a stringerlo in un angolo. Scotch, o la cosa che ne ha preso il posto, è definitivamente sparito. Probabilmente, rompendo il vetro della finestra quella volta che ha tentato di soggiogarmi, l'ho costretto a fuggire per non rivelare ciò che realmente è. La locandiera, però, si è ammalata nel giro di poche ore. La sua mente non riesce a riprendersi. Continua a vedere il suo cane anche se se n'è andato da tempo.
Perché la povera bestia è morta da quella notte in cui l'ho trovata rigida e fredda. Le successive manifestazioni non erano realmente Scotch, ne sono sicura, e l'incubo che ne ha preso il posto è forse una delle cose più pericolose che abbia mai affrontato. Non sono preoccupata per la vecchia. È talmente una zucca vuota che probabilmente, quando si riprenderà, sarà convinta di aver avuto solo una brutta febbre. E troverà il modo di incolpare me anche per questo. Se solo sapesse quanto è stata fortunata la notte in cui è morto il suo cane... Ma lo ammetto. La vecchia non mi preoccupa.

Sono preoccupata per me.

Ho ricostruito i fatti. La tarcoblaticofa non era l'unico mostro in giro la notte che ho trovato Scotch morto stecchito. Avevo pensato che fosse molto affamata e che fosse stata lei ad uccidere il cane. In realtà, stava scappando. Scappando da qualcosa molto più affamato di lei. È colpa di questo nuovo arrivato se gli incubi sono stati particolarmente aggressivi per tutta l'estate. Ha scombussolato l'ecosistema e mi ha fatto dannare.

Mi alzo e mi allontano dal gorgogliare del ruscello. Cala la sera ed è ora di fare da esca. Le stradine del villaggio si svuotano. I rumori della cena piano piano si spengono. Continuo a camminare per i vicoli. Appoggio piano l'arpione a terra ma l'asta di metallo risuona comunque ad ogni colpo sul piancito. Le luci si spengono dietro le imposte socchiuse. La gente si addormenta. Gl incubi si muovono furtivi. L'ecosistema del sonno si dispiega in tutta la sua fantasiosa diversità. Incubi si agitano sugli angoli dei tetti. Pensieri si raggruppano in branchi scintillanti sotto la luce della luna. Mi sfiorano le gambe e fanno il solletico. È uno spettacolo bellissimo, riservato a pochi fortunati.

A volte mi dispiace per la gente che dorme e non sa. La gente che non si accorge di tanta bellezza. Le persone si trascinano evitando di farsi domande. Si trascinano e si accontentano. È triste ma le capisco. Farsi domande può farti molto male. Le idee non sono mai neutre. Sono cattive, aggressive, Lottano per il territorio. Prendono possesso delle nostre menti e ci guidano durante la giornata. Mai lasciare campo libero ad un'idea senza prima averla affrontata. Potrebbe spezzarti. O usarti. Ma per molti è fatica inutile. Forse non vogliono o forse non possono, fatto sta che non ragionano da soli e dormono sognando i sogni-escrementi dei parassiti delle loro anime.

Il panorama delle emozioni è cangiante e chiede grandi sacrifici per essere apprezzato. La sua bellezza mi commuove sempre un po'. Tutti i pensieri, tutti i brutti ricordi, tutti i rimpianti, tutte le speranze... È bellissimo ma stasera non me lo posso godere. Continuo a camminare e mi aspetto di vederlo spuntare in ogni momento dall'angolo più buio, dal tetto più alto. L'attesa è snervante. È una caccia difficile e l'unica soluzione per intrappolarlo che mi è venuta in testa è provocarlo. Sono qui, maledetto incubo.

Vieni a prendermi.


20/08/12

Diario dei Mostrincubi - Lo Sficaramamaggio



L'estate scivola via e le giornate si accorciano. Le notti diventano più lunghe e gli incubi si preparano all'autunno. Diventano più aggressivi, più affamati. Le paure del crepuscolo gli mettono più fame e i brutti pensieri sono lì, in agguato, e ti trascinano giù.


Di solito, in queste giornate, spalanco le finestre e mi godo gli ultimi raggi di sole. Mi piace vederlo sparire piano piano, mi piace vedere il colore del cielo che cambia. È uno dei pochi momenti di pace prima della mia solita passeggiata notturna. Appena si fa scuro accendo una candela, una di quelle piccole, e la metto sul davanzale.
Esco e la piccola fiamma continua a brillare finché non finisce lo stoppino. Ne accendo una sola, non troppo grande. E non guardo mai la fiamma che danza al comando di venti inesistenti. Non è una cosa romantica, quella candela.
È una trappola.


Il tutto risale a quando ero una bambina. Adoravo le candele. Ne accendevo il più possibile e costringevo mio padre a passare tutta la sera al lume di decine di piccole fiammelle. Come non mi abbia rifilato un paio di sculacciate non lo so. E non so neanche come ho fatto a non dare fuoco alla casa vista leggerezza con cui armeggiavo tra cera e stoppini. E poi adoravo il rumore e l'odore che facevano i fiammiferi quando li sfregavo contro una superficie ruvida. Ne usavo uno per candela e appena avevo acceso la fiamma, lo spegnevo agitando fortissimo tutto il braccio. Spesso non mi ritrovavo più il fiammifero tra le dita tanta era la foga di spegnerlo. Tra tutte le candele, a cui avevo dato i nomi improponibili che può dare una bambina e che non ripeterò su queste pagine anche se nessuno le leggerà mai ma la prudenza non è mai troppa, ce n'era una che era la mia preferita.
Era piccola e tonda. Profumava di qualcosa che doveva assomigliare alla ciliegia ma che era più simile a una prugna troppo matura. E non si consumava mai.


Non mi ero mai posta il problema. Ero troppo piccola forse per notarlo. Tutte le candele in casa si scioglievano lentamente. Lei no. Lei restava sempre uguale. Potevo passare le ore ad osservare la sua fiamma che quasi non si muoveva. Tutte le sue sorelle si piegavano ai capricci dei refoli di una casa tutta spifferi. Lei no. Brillava sempre uguale. Con piccoli movimenti circolari. Aveva la base della fiamma blu, di un blu intenso, che nessun'altra aveva. E i suoi colori mutavano con le ore. La fiamma era gialla, verde, viola. Ero troppo piccola anche solo per sospettare che ci fosse qualcosa che non andava.


Col passare del tempo, però, quella candela divenne un'ossessione. La portai in camera da letto e la accendevo di nascosto, lontano da mio padre, e passavo le ore ad osservarla. La sua fiamma, i suoi colori, quel modo tutto suo di ondeggiare... era come se fosse voluto, come se la fiamma fosse viva.
Non lo era.
Ma era qualcosa che ci viveva dentro.


Ho ricordi confusi di quel periodo. Ero sempre stanca, passavo le notti sveglia ad osservare la fiamma della candela. A volte, riuscivo a scorgere qualcosa alla base. Sembrava una specie di cimice ma aveva degli aculei sul dorso. O sembravano aculei. Cambiavano di colore e la fiamma cambiava con essi.


Cominciai a stare male sempre più spesso. Raffreddore, febbre alta, mal di gola, tosse. Poi smisi di mangiare. Ogni volta che provavo a mandare giù qualcosa di più sostanzioso di una tazza di tè finivo per vomitarmi l'anima. Mio padre era preoccupato, scrutava la stanza alla ricerca di qualcosa che solo anni dopo avrei imparato a cacciare. Il dottore poteva fare ben poco, passava ogni settimana durante il suo giro dei villaggi della costa e mi trovava sempre peggio. Non riusciva proprio a capire cosa avessi.
Perché il problema era la candela e il piccolo, misero incubo che viveva nella sua fiamma. Mi rubava il sonno, mi rubava il riposo e mi faceva stare male.


Non so quando l'ho capito. Non mi ricordo neanche come lo capii. Mi ricordo solo che passai le notti successivi lacerata a metà. Una parte di me voleva solo perdersi davanti alla luce cangiante. L'altra sapeva. Sapeva cosa stava succedendo. Non era neanche un pensiero. Era più un istinto. L'istinto di allungare la mano e di schiacciare tra pollice e indice la fiamma e il piccolo incubo.


Ci ho messo cinque notti. Cinque notti insonni. Allungavo la mano, mi bruciavo le dita. A volte ero convintissima di esserci riuscita.
Ma la ritrovavo sempre accesa.
Alla fine, con gli occhi rossi e le dita annerite, piangendo senza riuscire a distogliere lo sguardo, l'ho fatto. Ho stretto le dita con talmente forza che ho strappato via lo stoppino dalla cera. Ho spento la luce.
E finalmente, ho dormito per tredici ore di fila.


Il mattino dopo avevo le vesciche sui polpastrelli e la candela era ormai inservibile. Avevo smesso con la mania delle candele.
Non ho mai saputo come si chiamasse quell'incubo. Io lo chiamo sficaramamaggio ma è un nome inventato.
Non ho mai più incontrato niente del genere ma ancora oggi cerco di catturarne un esemplare. La candela è la mia trappola.
Ma evito sempre di fissare troppo a lungo la fiamma.


06/08/12

Diario dei Mostrincubi - L'Ararodecnisa


Il caldo di questa estate si alterna a scrosci di pioggia torrenziali. Le strade mutano in torrenti stagionali e la furia delle acque si precipita verso il mare. Nessuno esce con un tempo così e il paese diventa improvvisamente tutto mio.


Adoro questo tempo. Cammino con l'acqua alle caviglie, l'incerata sopra la testa e uso l'arpione come bastone mentre vedo le luci filtrare dalle persiane sbarrate e sento rumori di piatti e stoviglie che timidamente provano a contrastare il frastuono della pioggia. Persino gli incubi se ne rimangono nelle loro tane o nei loro sottotetti in serate così. È rilassante andarsene in giro con i piedi zuppi senza doversi preoccupare di niente. Cammino per le vie, sbirciando involontariamente la vita che prosegue al riparo dietro le finestre sprangate. Mi tiro il cappuccio dell'incerata sul viso e passo rapida sotto i fiotti potenti delle grondaie. Gioco come da bambina. Sorrido. E per fortuna nessuno mi vede. Ho una reputazione da difendere.
Poi il sorriso mi scivola via dal viso e stringo più forte l'arpione e mi avvicino ad una finestra spalancata. La pioggia fradicia le sedie e il tavolo di una cucina. Le persiane sono aperte verso l'esterno, le ante spalancate verso l'interno. La prima cosa a cui penso è a un colpo di vento. Uno forte. Una specie di piccolo uragano che ha spalancato tutto.


Ma non è possibile. Sul pavimento c'è un lago, il tavolo ormai gronda acqua e le sedie di paglia sono zuppe. La finestra era aperta quando è iniziato il temporale. Faccio un giro di casa. È tutto sbarrato. Possibile che non ci sia nessuno?
Busso alla porta. Il vento si porta via i miei colpi. Lo faccio più forte. Nessuna risposta. C'è qualcosa che non mi quadra. Nessun pescatore uscirebbe con questo tempo e da quello che so in quella casa ci vive una coppia sposata. Che anche la moglie sia fuori? Torno davanti alla finestra spalancata. So che non dovrei ma c'è qualcosa che non mi torna. E di solito non mi sbaglio mai.


Scavalco ed entro.
I piedi nudi fanno piccoli splash sul pavimento bagnato. Non c'è un solo rumore che non sia la pioggia. Chiudo la finestra dietro di me e lo scrosciare diventa improvvisamente un brontolio. Il silenzio in casa è totale. Provo a camminare. Piccole onde partono dai miei piedi e si infrangono sulla porta chiusa. Appoggio l'orecchio e rimango in ascolto. C'è come un russare. Ma a intervalli irregolari. Affannato. Socchiudo la porta e scivolo nell'altra stanza. Il pavimento è uno stagno. Cammino, facendo attenzione a non fare rumore. Il russare è più nitido, meno impastato col rumore della pioggia là fuori. E ci sono dei gemiti.


Si sentono a malapena, confusi con i rumori del temporale. Ma ci sono. Come se qualcuno cercasse di respirare ma ormai fosse allo stremo.
"C'è nessuno?" domando.
La mia voce si perde e resta solo il picchiettare dell'acqua che cade dal tavolo sul pavimento allagato. Mi avvicino alla porta da dove sento arrivare i lamenti. La apro con la punta dell'arpione. La stanza puzza di chiuso. Il pavimento è umido ma non è allagato. Ci sono due persone sul letto. Nel chiarore che proviene dalle persiane socchiuse li intravedo a malapena.
Sono i padroni di casa.
Sono bianchi come cadaveri. Magri che gli vedo le ossa sotto pelle.
Respirano a fatica. Sono legati a letto da quelli che potrebbero sembrare rovi spinosi. Per un secondo, uno stupido secondo, me ne resto lì, i piedi bagnati, l'arpione in mano, due quasi cadaveri sul letto e l'unica cosa che riesco a pensare è alla Bella Addormentata. Sorrido. Poi dici da dove vengono fuori certe storie...


Si tratta di un'infestazione di ararodecnisa. Fa il nido sotto i letti. Cresce lentamente, molto lentamente. Prima si accontenta dei sogni che cadono dai cuscini. Poi le sue appendici spinate si intrufolano tra le lenzuola, da sotto il materasso e cominciano a strappare i sogni ai dormienti. Chi si addormenta su un letto infestato si sveglia sempre stanco. Non ricorda mai i sogni della notte precedente e soprattutto comincia a deperire. Quando il mostrincubo è cresciuto abbastanza, il padrone del letto non ha più la forza di alzarsi. Continua a dormire, catatonico, mentre i suoi sogni servono a far crescere e rafforzare il parassita. A forza di dormire e non riposare ci si scorda di mangiare, di bere. E piano piano ci si consuma fino a morire.


Non so da quanto tempo questi due sono bloccati qua dentro. Dall'odore e dal loro aspetto è sicuramente troppo. Mi sdraio sul pavimento e striscio carponi sotto al letto. Le zampe dell'incubo mi sfiorano ma non sto dormendo e non trovano niente da rubarmi. Laggiù, sotto la testata, c'è una specie di rosa di carne, vagamente luminescente, da cui partono zampe aracnoidi spinate. Sto distesa sulla schiena, allungo l'arpione e comincio a potarla. Non posso ucciderla subito, lo shock potrebbe essere fatale per i due sopra di me. Ogni colpo che affondo recide una zampa dell'incubo. Ci metto più di un'ora ma più vado avanti più il respiro dei due padroni di casa si normalizza. A un certo punto, li sento girarsi sopra di me. Il letto cigola. Un grugnito e un russare regolare accompagnano il loro sonno.
Era ora, ho la schiena a pezzi a forza di stare sdraiata sul pavimento umido. Affondo l'arpione e il mostro si dissolve in un'odore acre, come di calzini bagnati.


Mi rimetto in piedi. I padroni di casa dormono sereni e finalmente riposano. Domani avranno una fame da lupi, poco ma sicuro. Io faccio la strada a ritroso, ritorno alla finestra che era spalancata. Fuori ha smesso di piovere. Esco da dove sono entrata, accosto da fuori la finestra e le persiane.


Quella stanza da letto puzzava da morire. Faccio un bel respiro.
E starnutisco con forza.
E starnutisco per tutta la strada verso casa.
E starnutisco anche mentre mi faccio una tazza di tè caldo.
E starnutisco anche mentre mi infilo sotto le coperte.
A me e quando me ne vado in giro scalza sotto i temporali...





PS: Scusateci, ma il blog lunedì prossimo va in vacanza, che la consegna del libro si avvicina e dobbiamo un po' correre. Ci rivediamo il 20!
Giovanni & Federico


30/07/12

Diario dei Mostrincubi - Il Gartambegliorio


Mi piace stare al porto, sedermi sulle casse e guardare le barche rientrare la sera. Mi ricorda di mio padre. Mi ricorda di cose buone e tempi felici.


Le barche ondeggiano pigre assicurate ai loro ormeggi. Il legno del molo scricchiola e l'odore di pesce e salsedine viene spazzato via dalla brezza. I marinai scaricano casse e sistemano le reti. Persino i rumori sono sempre gli stessi, rassicuranti e monotoni.


Messe le barche in sicurezza per la notte, i pescatori risalgono stanchi sulle stradine di roccia che li riportano alle loro case, alla cena, a una moglie, a dei bambini. È un rito sempre diverso eppure sempre uguale. Lo conosco come conosco il mio arpione.
E mi accorgo subito che c'è qualcosa che non va.


I pescatori stasera sono lenti. Più lenti del solito. Ci mettono troppo tempo per sistemare le reti. Troppo tempo a scaricare le cassette col pesce. Laggiù una barca è ormeggiata ma i nodi sulle gomene sono troppo laschi e la barca si allontana, spinta dalla risacca, per poi caricare con forza contro il molo che cigola ad ogni urto.
Mi alzo e osservo la scena con attenzione.
Non c'è niente di insolito. Nessun incubo particolare, nessun mostro nascosto tra le sartie. I marinai mi passano affianco. Nessuno mi degna di uno sguardo. Sembrano solo più stanchi del solito. C'è qualcosa che non mi torna, anche se non riesco a identificarlo. Qualcosa fuori posto... ma cosa?


La sera successiva, sono di nuovo in piedi sulle casse. Il mare è ingrossato ma la scena del rientro dei pescherecci si ripete uguale. Anche stasera si vede subito che qualcosa non va. Le manovre di attracco sono goffe, le schiene più curve del solito. Le reti vengono ammucchiate senza attenzione. Uno degli ormeggi salta. Il peschereccio ondeggia pericolosamente e schiaccia una piccola lancia contro i piloni. Il molo trema con violenza. Nessuno reagisce.


Non ho tempo per pensare e scatto. La fune che assicurava la barca è ancora là con il suo cappio. Pianto l'arpione all'interno dell'occhiello e faccio leva scheggiando le assi del pontile. Il peschereccio si muove indolente ma quando tende la fune il contraccolpo a momenti mi trascina in mare.Stringo l'arpione e chiedo aiuto.
Nessuno fa un passo verso di me.
Restano lì, la bocca piegata in un leggero sorriso, gli occhi spenti e tristi. Il mare gioca con il peschereccio e lo strattona. L'arpione mi sfugge di mano. La punta fa saltare un asse ma per fortuna l'arpione rotola poco lontano. Faccio un salto a recuperarlo mentre il peschereccio, assicurato solo a prua, s'inclina pericolosamente e colpisce altre due barche.


Mi avvicino ad uno dei marinai e lo scuoto urlandogli di darsi una mossa. Il tipo mi guarda con aria vagamente stupita. Il suo respiro puzza di acido. È un odore forte, pungente. Mi allontano portando una mano allo bocca. Il marinaio mi guarda e sorride. Al posto dei denti ha una specie di insetto dal corpo di gambero. Le zampe dell'incubo sollevano le labbra del marinaio in un sorriso sbilenco. Altre gli fuoriescono dalle narici e le guance fremono sotto i colpetti di altre zampe ancora.


Il gartambegliorio. Una vera e propria infestazione. Ce n'è uno, o addirittura più d'uno, nella bocca di ogni marinaio che adesso osserva stupidamente il peschereccio che rischia di distruggere il porto.


Non posso sfigurare tutti i pescatori del villaggio prendendoli ad arpionate sulla bocca e quell'incubo è un osso duro. Si nutre di felicità e bei pensieri. Te li ruba dal respiro e ti lascia svuotato, al limite dell'idiozia, con gli occhi tristi e un sorriso stampato sul volto.


Mi muovo rapida verso le reti. Afferro uno degli uncini per i pesci e afferro l'arpione al contrario, in modo da usare l'estremità non acuminata. Faccio tre passi verso il primo marinaio, carico il colpo e affondo l'arpione dritto nel suo stomaco. Il poveraccio si piega in due, gli afferro la faccia ficcandogli due dita nel naso e prima che possa reagire, gli cavo via l'incubo con l'uncino.


Il poveraccio sbianca. L'incubo gli strappa dai polmoni il poco fiato che ancora gli era rimasto in corpo. Il pescatore finisce in ginocchio, respira affannosamente e cerca di mandar giù più aria possibile. Gli altri mi guardano, stupidi. Ricarico il colpo con la parte contundente dell'arpione e affondo con forza. Due dita nel naso e un'uncinata a strappar via il mostro.
Colpo. Uncino.
Colpo. Uncino.
Colpo. Uncino.
E così via.


Il peschereccio si schianta con forza sul molo. La lancia, compressa sotto tanto peso, si spezza in due contro il pilone. Cerco di restare in piedi. Affondo il colpo nello stomaco dell'ultimo pescatore e lo libero dall'incubo che gli affondava le zampe in gola. Il tipo si piega in avanti e vomita. Mi scanso appena in tempo e mi giro. È durato tutto pochi minuti.


Allo schianto della lancia, gli altri marinai si sono improvvisamente ripresi e alcuni di loro già corrono verso la cima per assicurare di nuovo gli ormeggi. In una decina riescono a contrastare la forza del mare e a legare la barca.
Il marinaio affianco a me riesce a mandar giù tanta aria da chiedermi cosa diavolo pensavo di fare prendendolo ad arpionate.
Gli restituisco l'uncino per il pesce e me ne vado sorridendo.
"Ringrazia piuttosto che non ho dovuto usare l'arpione di punta. E lavati i denti più spesso, fidati."


23/07/12

Diario dei Mostrincubi - Scotch


Lo sento abbaiare durante la notte. I suoi latrati sono... strani. Non riesco a definirli meglio. Sono simili ai normali ululati di un cane ma la tonalità è sbagliata. Troppo acuta, come se fossero registrati male. E troppo lunghi, come se non riprendesse mai fiato. O come se quei suoni fossero l'imitazione dell'abbaiare di un cane fatta da qualcosa senza polmoni.


La locandiera mi guarda ma sembra non vedermi. Potrebbe essere un miglioramento, dal disprezzo all'indifferenza. Ma il bianco dei suoi occhi sta diventando trasparente e le sue pupille sono sempre dilatate, anche sotto al sole di mezzogiorno. C'è qualcosa che non va. Forse la tarcoblaticofa... anche se non ne ho trovato più alcuna traccia dell'incubo dopo quella notte.


Ho provato a dare un'occhiata a Scotch ma quando mi sono avvicinata ho scoperto che la vecchia non lo tiene più nel solito pezzo di terra battuta dietro la sua stamberga. Adesso il cane vive in casa con lei. E quando è alla locanda, si sente ringhiare sommessamente da dietro la tenda che porta in cucina. Ho provato a chiedere in giro ma nessuno sembra aver notato niente di strano. I bambini, però, evitano di giocare vicino alla casa della vecchia. Una sera ne ho visti tre da quelle parti. Stavano parlando a bassa voce di una prova di coraggio. La sfida era di avvicinarsi e di sbirciare dentro la finestra della cucina al piano terra della piccola casetta a due piani.
Gli ho chiesto cosa ci fosse di coraggioso. Loro hanno risposto che quando guardi dentro quella finestra, gli occhi rossi guardano te e ti fanno sentire strano. Li ho rispediti a casa senza tante cerimonie. I bambini se ne sono andati contenti di non dover dimostrare il loro coraggio, occhi rossi oppure no. Nessuno voleva avvicinarsi davvero a quei vetri sporchi.


Ho stretto l'arpione e ho attraversato la strada. L'interno della casa era buio pesto. Ho avvicinato il visto ai vetri e mi sono vista riflessa. Ho picchiettato con la punta dell'arpione sulla finestra. L'interno era innaturalmente buio. Qualcosa si è mosso. Sembravano due fiammelle. Non vedevo bene. Le fiammelle si sono avvicinate. Erano due occhi che ardevano come brace. Ho stretto l'arpione ma ho sentito le gambe che mi cedevano. Un ringhio basso, dissonante, ha cominciato a far vibrare i vetri. Mi girava la testa. Era difficile staccare lo sguardo da quegli occhi. Sembravano ingrandirsi mentre il ringhio diventava più acuto. Ho cominciato a tremare. I muscoli mi facevano male, come se un crampo mi avesse afferrato i nervi. Volevo urlare. Non riuscivo ad aprire la bocca. Gli occhi erano diventati più grandi e più brillanti.
E poi sono diventati quattro.
E poi otto.
E poi sedici.
E poi ho dato un pugno al vetro con tutta la mia forza.


Non so neanche io come ci sia riuscita ma il dolore alla mano mi ha schiarito la testa. Gli occhi erano spariti e l'interno della cucina adesso era vagamente visibile alla luce della luna. Non c'era niente fuori posto, a parte un vetro rotto sporco di sangue.


È passata una settimana e il taglio mi pulsa ancora sotto le bende e afferrare l'arpione è doloroso. Di Scotch non c'è più traccia. La locandiera ha ricominciato a guardarmi male e ogni volta che ordino qualcosa sono sempre l'ultima a riceverlo. E solo dopo averglielo chiesto tre volte.


Sembra tutto tornato alla normalità.
Ma io so che non è così.
C'è qualcosa là fuori. Qualcosa di antico e violento e che non ha paura dell'arpione. Qualcosa che scorgo con la coda dell'occhio nelle notti senza luna.
Qualcosa che mi da la caccia.
Lo sento che freme nell'oscurità mentre cerca di cogliere l'attimo per il balzo decisivo ma ogni volta si trattiene.


Io stringo l'arpione, sorrido e lo aspetto, perché lo scontro è solo rimandato e la caccia appena iniziata.

16/07/12

Diario dei Mostrincubi - Il Ripedecirchiolaccio


Le pareti a picco sul mare sembrano fatte di ossidiana color cenere e tagliano il vento mentre gli spigoli di roccia risplendono alla luce del tramonto. La scogliera promette che ti farà male.
E lo fa.
Oh, se lo fa.
Di solito cerco di starci lontana. Ma agli incubi piacciono le lame di roccia, fanno il nido e si nascondono tra le fratture della pietra. Nelle sere d'estate le pareti verticali brulicano di brutti pensieri. Sono talmente tanti da scacciare persino i gabbiani che infuriati volano in circolo.
Non mi avvicino alla scogliera se non c'è un motivo valido.
E anche quando c'è, ci penso sempre due volte.


E ci penso anche mentre cerco appigli e mi arrampico su una parete a strapiombo tentando di raggiungere un nido di ripedecirchiolacci. Un nome stupido per degli incubi ancora più stupidi. Sono tutti aculei ma non particolarmente aggressivi. Di solito, se ne stanno rintanati aspettando che qualcuno gli passi talmente vicino da potergli rubare un pensiero. Quando apri l'armadio e non ti ricordi perché ti eri alzato dal divano? Un ripedecirchiolaccio ti ha sfiorato. Sono i principali responsabili dei mazzi di chiavi smarriti in giro per il mondo ma a parte questo non sono poi così pericolosi. Se non fosse che durante l'estate sviluppano una fame bestiale. Si radunano in branchi, delle macchie scure piene di aculei che si aggrappano a posti ripidi come la scogliera. E se qualcuno ci passa vicino, non si accontentano di rubargli qualche pensiero. A volte, prosciugano la loro preda fino a farle perdere il ricordo di chi era o di cosa stava facendo. Oppure, quando sono in tanti, ma davvero tanti, afferrano chi ha la sfortuna di passargli vicino e lo trascinano lassù, sulle lame di roccia. Le cadute accidentali, le disgrazie, le persone sparite dopo una gita... ripedecirchiolacci.


Scivolo con il piede destro e resto aggrappata alla scogliera solo con le mani. L'arpione infilato sotto la maglietta mi sbilancia ma non ho trovato una soluzione migliore. Stavo camminando per tornare a casa quando ho visto qualcosa che si agitava, come uno straccio impigliato tra le rocce. La cosa strana è che si muoveva in verticale. Saliva lento ma costante lungo la scogliera. Sono rimasta lì, a cercare di capire cosa fosse.
Una busta di plastica? Troppo grande.
Un lenzuolo steso ad asciugare e strappato e portato lassù dal vento?
L'incerata che copriva una barca?
Poi ho visto le gambe nude e piene di tagli che sbattevano contro le rocce e ho realizzato. I mostri tutti aculei avevano rapito qualcuno e lo stavano portando al loro nido. Sono scattata correndo come il vento sulla stradina di ciottoli. Per rapire una persona dovevano essere tantissimi. Non riuscivo a scorgerli da così lontano ma sapevo che una volta rubati tutti i pensieri del poveraccio, l'avrebbero lasciato andare e non ci sarebbe stato nient'altro che rocce aguzze e budella sparse sugli scogli.


La roccia si sbriciola sotto al mio peso ma continuo a salire. Vedo la macchia degli incubi. È larga quasi tre metri e la loro preda è avvolta in un incerata. Un pescatore? Le gambe che brillano bianche sotto la luce del sol sono però quelle di una ragazza. Forse di una bambina. Ecco perché sono riusciti a sollevarla...
Cerco un appiglio più stabile, incastro il piede in una fessura e afferro con forza una sporgenza con la mano sinistra. Con la destra libero l'arpione. Una raffica di vento mi sbilancia e rischia di strapparmelo di mano. La punta sbatte con forza contro la roccia e un pezzo di scogliera precipita giù . La macchia, più in alto rispetto alla mia posizione, si agita e freme tutta. Gli incubi sanno che sto arrivando. Si ritraggono, come formiche impazzite. Non dovevano accorgersi di me. Se si sentono minacciati si sparpagliano e...


La lasciano andare.


La figura di una bambina avvolta in un k-way mi sfreccia affianco. D'istinto lascio andare l'arpione e allungo la mano. L'incerata è scivolosa sotto le mie dita. Il peso della ragazzina quasi mi strappa dalla scogliera. L'arpione precipita e rimbalza sulle rocce, risuonando come un gong. La spalla urla di dolore. Stringo i denti, la mano che mi regge alla scogliera sanguina. Sento che la bambina si agita. L'ho presa.
La tiro su.
Lo sforzo mi costa la spalla. La bambina si sveglia. È ancora intontita ma si aggrappa a me con tutte le sue forze.
"Non guardare giù" dico. Sento che le piccole braccia stringono più forte. Ho di nuovo le mani libere. Devo riuscire a scendere adesso. Ho una spalla fuori uso, ogni volta che cambio appiglio ringhio di dolore tra i denti.


A metà discesa, sto per cedere. Tremo per lo sforzo cercando di restare aggrappata. La piccola se ne accorge.
Mi da un bacio sulla guancia.
Le sorrido. È una bambina coraggiosa.
Scendiamo, insieme.
Lentamente.


Arrivo sulla strada. La poso a terra e finalmente crollo. La piccola si siede affianco a me, le accarezzo la testa e la bimba si addormenta di colpo. Si sveglierà tra qualche ora senza ricordare nulla della nostra avventura per un effetto collaterale degli aculei di quei mostri. Probabilmente, verrà sgridata dalla madre perché si è fermata fuori a giocare fino a tardi.
Sorrido e mi rimetto in piedi a fatica. Recupero l'arpione e lo uso come bastone mentre torno a casa a bendarmi la spalla. Mi giro un'ultima volta. La piccola mormora qualcosa nel sonno. Sembra un "grazie".
Ma non sono sicura.

09/07/12

Diario dei Mostrincubi - Il Blavileclavo


Oggi fa caldo. Troppo per questa stagione. Le nuvole se ne restano laggiù ai margini del cielo mentre il sole picchia forte sulle tegole e sulle teste della gente. Non sono abituata. L'afa mi rende lenta, distratta. E non va bene per andare a caccia. Me ne sto rintanata in casa, le persiane socchiuse sperando di acchiappare un refolo di vento ma il mare è immobile, schiacciato da tanta luce, e l'arpione è più pesante che mai.


La sera mi faccio forza ed esco. L'unico posto aperto a quest'ora è la locanda, voglio qualcosa da bere e da mangiare. Qualcosa di fresco. Le pietre piatte che pavimentano la strada sono arroventate dal troppo sole della giornata e l'aria vibra a pochi centimetri dal suolo.
Nella locanda c'è gente. Ho paura di incrociare la vecchia dopo quello che è successo al cane e quando entro mi guarda male. Non più del solito, però. La cosa strana è che si sente abbaiare. Vorrei dare un'occhiata, ma come? Non voglio insospettirla e mi odia già abbastanza. Però là fuori c'è un cane, poco ma sicuro. E sembra proprio il cane della vecchia.


Sembra, perché la testa si è fatta pesante e non sono più così sicura. Ordino da bere e mi siedo vicino alla porta spalancata sulla strada che arde piano piano. C'è gente nella locanda, si è rintanata all'ombra dentro lo stanzone di pietra e legno e cerca il fresco. Ma più persone ci sono, più la stanza si riscalda di fiato e sudore. Non si respira più. Il caldo serpeggia. Respiro a bocca aperta. La gente strilla. Beve. Discute. Volano parole grosse.


Mi alzo. Mi gira la testa. Forte. Qualcuno mi da una spinta. Non ricordo se è stato di proposito o no. Le gambe non mi reggono. Provo ad appoggiarmi al tavolo ma non lo trovo. Qualcuno l'ha spostato... O forse là non c'è proprio mai stato. Cado in avanti e sbatto la bocca sulla panca. Mi rompo un labbro. La botta mi schiarisce i pensieri e afferro l'arpione d'istinto.
Adesso so cosa sta succedendo e ho poco tempo.
Il blavileclavo allunga i suoi filamenti gelatinosi e li fa colare sulle persone. Annebbia la testa e ti fa infuriare. Gli piace la rabbia e più ti arrabbi più stringe i tentacoli che ti serrano la nuca. Stessa strategia del ragno con la sua tela, solo che i filamenti che colano dal soffitto fanno parte dell'incubo stesso. Adora il caldo e i luoghi affollati.


Non capisco quanto tempo sia passato. I tentacoli ormai si sono fatti strada tra le travi del soffitto, nelle fessure del pavimento. L'intera sala comune della locanda ne è invasa. Non me ne sarei mai resa conto se non mi fossi rotta un labbro e il dolore non mi avesse liberata. Se mi muovo, mi ricattura subito. I tentacoli sono capaci di intorpidire uomini molto più robusti di me.
La gente litiga ma i loro movimenti, le loro reazioni, le loro invettive sono rallentate. Si muovono in impeti interiori di furia, ma da fuori sembrano ubriachi marci. Non ho spazio per colpire l'incubo, non ho spazio per muovermi. Il dolore al labbro mi ha risvegliato perché probabilmente non gli piace... E allora ci arrivo: il dolore!


Afferro l'arpione e comincio a punzecchiare tutti quelli che riesco a raggiungere. Non sarà il metodo di caccia migliore ma più avanzo e colpisco e più la gente si risveglia e più i tentacoli si ritirano. Finché non lo vedo appollaiato dentro una scansia colma di piatti e bottiglie. Non gli do modo di reagire. Affondo il colpo e l'incubo ritira gli ultimi tentacoli fremendo prima di appallottolarsi e sparire. Mi giro. Nel caldo della sera c'è chi si massaggia una mano ferita, chi una gamba. Tutti mi guardano male ma sono ancora troppo intorpiditi per prendersela con me.


Infilo la porta e mi allontano velocemente. Per un po', non potrò farmi vedere in giro. Risalgo la strada dalle pietre ormai fredde e torno a casa. Il labbro mi fa male ma non riesco a smettere di sorridere.
È la prima volta che uccido un incubo prendendo ad arpionate il culo della gente.



03/07/12

Facciamo la verticale (e fine!)


E anche se Verticalismi arriviamo all'ultima puntata di Harpun! La potete leggere in scrolling clickando QUA.

Un grazie grosso come una casa a Mirko, a Giuseppe e a tutto lo staff del sito in verticale per averci dato spazio e visibilità.

E anche se è finito Harpun, fatevi un favore, mettetevi Verticalismi tra i preferiti che ha tanta, ma tanta bella roba da leggere.

02/07/12

Diario dei Mostrincubi - La Tarcoblaticofa


Sono da sola.


Il vento ringhia e strilla e il mare sbatte la testa sulla scogliera con forza, ripetutamente, prende la rincorsa e urla spuma.


Sono uscita per fare due passi. L'incerata scricchiola mentre nuvole basse rotolano nel cielo sopra la scogliera a picco sul villaggio. Là in alto è peggio. Il vento potrebbe strappare un uomo dall'altipiano e trascinarlo con sé prima di lasciarlo cadere in mare.
Per fortuna, non ho niente da fare lassù.


Penso all'equilibrio mentre cammino sulla sommità di un muretto a secco. Un piede dietro l'altro, con attenzione, per non cadere. L'equilibrio è importante nella caccia. È importante per scagliare l'arpione. È importante per non inciampare durante l'inseguimento. È importante capire che uccidere non è tutto perché loro sono necessari. Servono a uno scopo, per quanto ripugnante ci possa sembrare.


Scivolo ma punto l'arpione a terra per non cadere. Alzo lo sguardo ed è là. Non realizzo subito cosa sia. È semplicemente troppo grande. La sua forma oblunga e traslucida si lancia da un tetto all'altro. Striscia come una lumaca, sospeso tra due comignoli con il suo corpo amorfo e gelatinoso. Ha dei petali carnosi e rigidi che gli adornano la schiena. Ho letto solo nei libri di una roba del genere. Un tarcoblaticofa. E da come tiene abbassata la corona di petali spintati vicino alla bocca, ha appena mangiato.


Ci metto un secondo di troppo a riprendermi ed è già sparito. Salto di nuovo sul muretto e da là sulla ringhiera in ferro battuto di un balcone. Scruto i tetti ma non lo vedo più. Capisco solo dopo cosa stava facendo. C'è una carcassa a terra. È di un cane. Ha gli occhi sbarrati, le pupille dilatate e la bava si sta seccando sul muso.
È Scotch, il cane della locandiera.


Mi abbasso su di lui. Gli sollevo la testa e la lingua mi scivola sul polso, secca e ruvida. Non posso fare più niente ormai e mi rialzo. L'incubo deve essere davvero affamato se si è scagliato contro un cane. Di solito, sono più resistenti degli umani. Per stroncarlo a quel modo l'attacco è stato violento. Gli deve aver mangiato i pensieri, per quanto semplici e innocui potevano essere quelli di un cane. Una presenza così nel villaggio è pericolosa. Mi volto per riprendere la caccia quando la vedo.


È la locandiera. Come tutte le vecchie del villaggio corre a chiamarmi quando le servo e mi guarda male ogni volta che varco la soglia della sua stamberga. La superstizione è una brutta bestia, soprattutto se hai paura.
"Mi dispiace..." dico "non ho potuto fare di più".
La donna mi guarda fuori di sé
"Strega..." sputazza tra i denti con gli occhi spiritati. Si abbassa, raccoglie un sasso e me lo tira. Con l'arpione lo faccio schizzare lontano, mi giro e me ne vado, lasciando la vecchia al suo dolore.


Seduta sul tappeto in casa, mentre bevo una tazza di tè, ripenso all'incubo, al cane e alla locandiera. E mi dispiace. Mi dispiace non aver potuto fare di più.

26/06/12

25/06/12

Diario dei Mostrincubi - Sarah e il Posolponno

Come promesso, ecco finalmente svelata la novità che ci accompagnerà fino all'uscita del libro!

Rebecca ha lasciato il suo diario di caccia nella casa sopra la scogliera. E' il più completo bestiario di mostrincubi su cui potevamo mettere le mani e visto che la ragazza non è più nei paraggi, almeno per un po', vi proponiamo i suoi appunti/racconti/disegni. Così, se mai vi foste chiesti come cavolo è fatto un incubo, finalmente avrete la vostra risposta. E anche la risposta su cosa sia mai successo al cane della locandiera...

Un'avvertenza importante. Non ci prendiamo alcuna responsabilità sulle informazioni contenute in queste pagine. Fare il ramponiere d'incubi è un mestiere pericoloso e non bastano certo degli appunti e un forchettone da cucina per riuscirci. Quindi vi sconsigliamo caldamente di provare le tecniche di caccia descritte ogni lunedì su questo blog a casa vostra.
E posate il forchettone...

PS: abbiamo anche aggiunto qua a destra, sotto l'etichetta "Le Raccolte" i capitoli uno, due & tre in .cbz, per tutti voi geek là fuori. Li potete scaricare clickando direttamente sul nome.




Sarah e il Posolponno


Questo l’ho trovato nascosto sotto il soffitto, tra le travi e le tegole. La figlia di Sarah era nata da pochi giorni e non dormiva mai. La cosa era inquietante. La bimba mangiava, rideva, piangeva… ma non dormiva. La mamma aveva provato in tutti i modi a farla risposare. L’aveva cullata, coperta, scoperta, fatta giocare allo sfinimento, rimproverata, lasciata sgolare piangendo. E la piccola si succhiava il pollice, sudava, rabbrividiva, rideva, piangeva, si disperava. 
Ma non dormiva.
A me, a dire proprio tutta la verità, Sarah non è mai piaciuta. 
Puzza.
E quando passo per strada mi guarda male e ride del mio arpione. Io non sono una che da peso a certe cose. Ma a Sarah la guardo male lo stesso.
Una notte mi ha chiamato. Pioveva a dirotto e il vento faceva infrangere le onde con così tanta forza contro la scogliera che persino le gocce di pioggia erano salate. Arrivo a casa di Sarah zuppa e lei non mi offre niente. Niente tè caldo, neanche uno straccio per asciugarmi. Sono contenta di avere le scarpe piene di fango e di gocciolare sul pavimento. Ma Sarah non mi da soddisfazione. Ha gli occhi gonfi dal pianto e stringe convulsamente la sua bambina al petto. Le chiedo: “Tutto bene?”
Non mi risponde.
Dico: “Sarah? Va tutto bene?”
Non mi risponde.
Dico: “Sarah, c’è qualche problema con tua figlia?”
Niente.
“È… morta?”
Sarah ulula come un cane sotto la luna e io faccio un salto indietro e afferro l’arpione. Mi spinge sotto il naso la piccola che riconosco subito come degna figlia di tale madre.
La bambina puzza.
Ma puzza strano. Puzza di incubi salmastri, di alghe e di rimpianti. Puzza di paura del domani. Puzza di quando non riesci a dormire perché hai paura di tutto e il sonno ti sfugge anche se vorresti solo chiudere gli occhi e scordarti chi sei e svegliarti scoprendo che è stato solo un brutto sogno. Ma non lo è mai, è la realtà che è brutta. È che sei brutto tu.
Ma sono cose da grandi queste. La bambina di Sarah avrebbe dovuto puzzare di latte, non di rimpianti. E non avrebbe dovuto avere quel segno di ventosa stampato sulla fronte. Spingo di nuovo il fagotto che ha cominciato a frignare tra le braccia della madre ed entro nella stanza dove dorme la piccola. 
Lo vedo subito, incastrato tra il tetto e le tegole. Si muove lento, fa penzolare i suoi tentacoli e se ti sfiora i pensieri non ti fa dormire. È il più grande Posolponno che abbia mai visto. So come cacciarlo. Ma per farlo ho bisogno di un colpo preciso. Salgo sul tavolo, avvicinandomi alla bocca a forma di fiore cercando di evitare i suoi tentacoli. Si accorge di me, sa che sto per fare, scappa infilandosi sotto la trave ma non gliene do il tempo. Spingo l’arpione con tanta forza nel tetto da bucarlo da parte a parte. Le tegole saltano via e l’acqua fradicia tutto. Scendo, sporcando di fango il tavole e torno da Sarah. Le dico che è tutto a posto. Non mi offre niente, a malapena mi ringrazia. Si sporge dentro la stanza della piccola e guarda il buco nel tetto con l’aria di una mucca stupida. Non si accorge nemmeno che la bimba che ha tra le braccia dorme beata.
Sarah mi guarda male. Sorrido e le dico: “La bambina starà bene, il buco l’ho fatto per far cambiare l’aria. Puzza qua dentro!"