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02/07/12

Diario dei Mostrincubi - La Tarcoblaticofa


Sono da sola.


Il vento ringhia e strilla e il mare sbatte la testa sulla scogliera con forza, ripetutamente, prende la rincorsa e urla spuma.


Sono uscita per fare due passi. L'incerata scricchiola mentre nuvole basse rotolano nel cielo sopra la scogliera a picco sul villaggio. Là in alto è peggio. Il vento potrebbe strappare un uomo dall'altipiano e trascinarlo con sé prima di lasciarlo cadere in mare.
Per fortuna, non ho niente da fare lassù.


Penso all'equilibrio mentre cammino sulla sommità di un muretto a secco. Un piede dietro l'altro, con attenzione, per non cadere. L'equilibrio è importante nella caccia. È importante per scagliare l'arpione. È importante per non inciampare durante l'inseguimento. È importante capire che uccidere non è tutto perché loro sono necessari. Servono a uno scopo, per quanto ripugnante ci possa sembrare.


Scivolo ma punto l'arpione a terra per non cadere. Alzo lo sguardo ed è là. Non realizzo subito cosa sia. È semplicemente troppo grande. La sua forma oblunga e traslucida si lancia da un tetto all'altro. Striscia come una lumaca, sospeso tra due comignoli con il suo corpo amorfo e gelatinoso. Ha dei petali carnosi e rigidi che gli adornano la schiena. Ho letto solo nei libri di una roba del genere. Un tarcoblaticofa. E da come tiene abbassata la corona di petali spintati vicino alla bocca, ha appena mangiato.


Ci metto un secondo di troppo a riprendermi ed è già sparito. Salto di nuovo sul muretto e da là sulla ringhiera in ferro battuto di un balcone. Scruto i tetti ma non lo vedo più. Capisco solo dopo cosa stava facendo. C'è una carcassa a terra. È di un cane. Ha gli occhi sbarrati, le pupille dilatate e la bava si sta seccando sul muso.
È Scotch, il cane della locandiera.


Mi abbasso su di lui. Gli sollevo la testa e la lingua mi scivola sul polso, secca e ruvida. Non posso fare più niente ormai e mi rialzo. L'incubo deve essere davvero affamato se si è scagliato contro un cane. Di solito, sono più resistenti degli umani. Per stroncarlo a quel modo l'attacco è stato violento. Gli deve aver mangiato i pensieri, per quanto semplici e innocui potevano essere quelli di un cane. Una presenza così nel villaggio è pericolosa. Mi volto per riprendere la caccia quando la vedo.


È la locandiera. Come tutte le vecchie del villaggio corre a chiamarmi quando le servo e mi guarda male ogni volta che varco la soglia della sua stamberga. La superstizione è una brutta bestia, soprattutto se hai paura.
"Mi dispiace..." dico "non ho potuto fare di più".
La donna mi guarda fuori di sé
"Strega..." sputazza tra i denti con gli occhi spiritati. Si abbassa, raccoglie un sasso e me lo tira. Con l'arpione lo faccio schizzare lontano, mi giro e me ne vado, lasciando la vecchia al suo dolore.


Seduta sul tappeto in casa, mentre bevo una tazza di tè, ripenso all'incubo, al cane e alla locandiera. E mi dispiace. Mi dispiace non aver potuto fare di più.

3 commenti:

  1. Ti dirò.
    Ha pezzi qua e là che trovo un po' forbiti e "freddi" rispetto a come la immagino io.
    Ma è una sensazione, eh, niente di che.

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    1. Le sensazioni sono importanti! Vedi i prossimi però ;)

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